LA VERA STORIA SU ERNESTO CHE GUEVARA
Se quella che segue sia la vera storia su Ernesto Che Guevara possiamo anche avere dei dubbi, ma sicuramente questo personaggio non è sicuramente quello che tutti credono. Difatti a supporto della crudeltà del Che abbiamo la testimonianza di un un certo Felix Rodriguez che ha avuto modo di conoscerlo.
Purtroppo nelle manifestazioni pacifiste viene sfoggiato da persone che non conoscono la storia, le stesse persone che inneggiano al comunismo senza sapere che il comunismo ha fatto molti più morti del nazismo e del fascismo messi insieme. Basta andare a leggere "il libro nero del comunismo" per capire quanto i regimi sia di destra che di sinistra siano negativi.
E anche un eroe della rivoluzione e della libertà come Che Guevara non è quello che sembra.
Prendendo sempre il tutto con il beneficio del dubbio leggete quanto segue e dopo forse quando vedrete una maglietta o una bandiera con la faccia del Che vi verrà voglia di evitare quelle persone.
Purtroppo nelle manifestazioni pacifiste viene sfoggiato da persone che non conoscono la storia, le stesse persone che inneggiano al comunismo senza sapere che il comunismo ha fatto molti più morti del nazismo e del fascismo messi insieme. Basta andare a leggere "il libro nero del comunismo" per capire quanto i regimi sia di destra che di sinistra siano negativi.
E anche un eroe della rivoluzione e della libertà come Che Guevara non è quello che sembra.
Prendendo sempre il tutto con il beneficio del dubbio leggete quanto segue e dopo forse quando vedrete una maglietta o una bandiera con la faccia del Che vi verrà voglia di evitare quelle persone.
Ernesto
"Che" Guevara: la verità rossa e la verità vera
La storia dovrebbe essere oggettiva, ma in realtà alcuni
aspetti vengono da sempre distorti e adattati alle convinzioni ideologiche di
chi li tratta. In un paese che si definisce antifascista (ma non evidentemente
anticomunista...) certi aspetti "scomodi" del Comunismo sono da
sempre ignorati. La Storia ne è piena: i massacri delle Foibe, i massacri dei
20.000 soldati italiani nei Gulag Sovietici su ordine di Togliatti, ecc...
La storia di Ernesto Guevara rappresenta forse il più
grande falso storico mai verificatosi. Tutti conoscono la storia
"ufficiale" del Che. Chi non ha mai sentito parlare del "poeta
rivoluzionario?" Del "medico idealista"? Ma chi conosce le reali
gesta di questo "eroe"?
Da tempo immemore il volto leonino di Ernesto “Che”
Guevara compare su magliette e gadgets, in ossequio all’anticonsumismo
rivoluzionario. La fortuna di quest’eroe della revoluçion comunista è dovuto a
due coincidenze: 1) – “Gli eroi son sempre giovani e belli” (La locomotiva – F.
Guccini); come ironizzò un dirigente del PCI nel ’69, se fosse morto a
sessant’anni e fosse stato bruttarello di certo non avrebbe conquistato le
benestanti masse occidentali di quei figli di papà “marxisti immaginari”. 2) –
l’ignoranza degli estimatori di ieri e di oggi. Il “Che”, infatti, viene
associato a tutto quanto fa spettacolo nel grande circo della sinistra: dal
pacifismo antiamericano alle canzoni troglodite di Jovanotti «sogno un’unica
chiesa che va da Che Guevara a Madre Teresa».
Meglio allora fare un po’ di chiarezza sulla realtà del
personaggio: Ernesto Guevara De la Serna detto il “Che” nasce nel 1928 da una
buona famiglia di Buenos Aires. Agli inizi degli anni 50 si laurea in medicina
e intanto con la sua motocicletta gira in lungo e in largo l’America Latina. In
Guatemala viene in contatto con il dittatore Jacobo Arbenz, un approfittatore
filosovietico che mantiene la popolazione in condizioni di fame e miseria, ma
che gira in Cadillac e abita in palazzotti coloniali. A causa dei forti
interessi economici degli Usa in Guatemala, viene inviato un contingente
mercenario comandato da Castillo Armas a rovesciare il dittatore. Il “Che”,
anziché sacrificarsi a difesa del “compagno”, scappa e si rifugia
nell’ambasciata argentina; di qui ripara in Messico dove, in una notte del
1955, incontra un giovane avvocato cubano in esilio che si prepara a rientrare
a Cuba: Fidel Castro. Subito entrano in sintonia condividendo gli ideali, il
culto dei “guerriglieri” e la volontà di espropriare il dittatore Batista del
territorio cubano. Sbarcato clandestinamente a Cuba con Fidel, nel 1956 si
autonomina comandante di una colonna di “barbudos” e si fa subito notare per la
sua crudeltà e determinazione. Un ragazzo non ancora ventenne della sua unità
combattente ruba un pezzo di pane ad un compagno. Senza processo, Guevara lo fa
legare ad un palo e fucilare. Castro sfrutta al massimo i nuovi mezzi di
comunicazione e, pur a capo di pochi e male armati miliziani, viene innalzato
agli onori dei Tg e costruisce la sua fama.
Dopo due anni di scaramucce per le foreste cubane, nel
’58 l’unità del “Che” riporta la prima vittoria su Batista. A Santa Clara un
treno carico d’armi viene intercettato e cinquanta soldati vengono fatti
prigionieri. In seguito a ciò Battista fugge e lascia l’Avana sguarnita e senza
ordini. Castro fa la sua entrata trionfale nella capitale accolto dalla
popolazione festante. Una volta rovesciato il governo di Batista, il Che
vorrebbe imporre da subito una rivoluzione comunista, ma finisce con lo
scontrarsi con alcuni suoi compagni d'armi autenticamente democratici. Guevara
viene nominato “procuratore” della prigione della Cabana ed è lui a decidere le
domande di grazia.
Sotto il suo controllo, l’ufficio in cui esercita diventa
teatro di torture e omicidi tra i più efferati. Secondo alcune stime, sarebbero
stati uccise oltre 20.000 persone, per lo più ex compagni d’armi che si
rifiutavano di obbedire e di piegare il capo ad una dittatura peggiore della
precedente.
Nel 1960 il “pacifista” GUEVARA, istituisce un campo di
concentramento ("campo di lavoro") sulla penisola di Guanaha, dove
trovano la morte oltre 50.000 persone colpevoli di dissentire dal castrismo. Ma
non sarà il solo lager, altri ne sorgono in rapida successione: a Santiago di
Las Vegas viene istituito il campo Arca Iris, nel sud est dell’isola sorge il
campo Nueva Vida, nella zona di Palos si istituisce il Campo Capitolo, un campo
speciale per i bambini sotto i 10 anni. I dissidenti vengono arrestati insieme
a tutta la famiglia. La maggior parte degli internati viene lasciata con
indosso le sole mutande in celle luride, in attesa di tortura e probabile
fucilazione.
Guevara viene quindi nominato Ministro dell’Industria e
presidente del Banco Nacional, la Banca centrale di Cuba. Mentre si riempie la
bocca di belle parole, Guevara sceglie di abitare in una grande e lussuosa casa
colonica in un quartiere residenziale dell’Avana. E' facile chiedere al popolo
di fare sacrifici quando lui per primo non li fa: pratica sport borghesissimi,
ma la vita comoda e l’ozio ammorbidiscono il guerrigliero, che mette su qualche
chilo e passa il tempo tra parties e gare di tiro a volo, non disdegnando la
caccia grossa e la pesca d’altura. Per capire quali "buoni"
sentimenti animassero questo simbolo con cui fregiare magliette e bandiere basta
citare il suo testamento, nel quale elogia «l’odio che rende l’uomo una
efficace, violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere». Sono queste le
parole di un idealista? Di un amico del popolo? Se si, quale popolo? Solo
quello che era d'accordo con lui?
Guevara si dimostra una sciagura come ministro e come
economista e, sostituito da Castro, viene da questi “giubilato” come
ambasciatore della rivoluzione. Nella nuova veste di vessillifero del comunismo
terzomondista lancia il motto «Creare due, tre, mille Vietnam!». Nel 1963 è in
Algeria dove aiuta un suo amico ed allievo, lo sterminatore Desirè Kabila
(attuale dittatore del Congo) a compiere massacri di civili inermi! Il suo
continuo desiderio di diffusione della lotta armata e un tranello di Castro lo
portano nel 1967 in Bolivia, dove si allea col Partito comunista boliviano ma
non riceve alcun appoggio da parte della popolazione locale. Isolato e
braccato, Ernesto De La Serna viene catturato dai miliziani locali e
giustiziato il 9 ottobre 1967.
Il suo corpo esposto diviene un’icona qui da noi e le
crude immagini dell’obitorio vengono paragonate alla “deposizione di Cristo”.
Fra il sacro e il profano la celebre foto del “Che” ha accompagnato un paio di
generazioni che hanno appeso il suo poster a fianco di quello di Marylin
Monroe. Poiché la madre degli imbecilli è sempre incinta, ancora oggi sventola
la bandiera con la sua effige e i ragazzini indossano la maglietta nel corso di
manifestazioni “contro la guerra”. Come si fa a prendere come esempio una
persona così? Possibile che ci siano migliaia di persone (probabilmente
inconsapevoli della verità) che sfoggiano magliette con il suo volto? In quelle
bandiere e magliette c'è una sola cosa corretta: il colore. Rosso, come il
sangue che per colpa sua è stato sparso.
In un film di qualche anno fa Sfida a White Buffalo, il
bianco chiede al pellerossa: «Vuoi sapere la verità rossa oppure la verità
vera?». Lasciamo a Gianni Minà la verità rossa, noi preferiamo conoscere la
verità vera.
Felix Ismael
Rodriguez: «l’uomo che catturò Che Guevara»
Verso la fine dell’estate del 1967, un agente della
Central Intelligence Agency con base a Miami convocò sedici dissidenti cubani
per selezionare un volontario da mandare in missione segreta in Sud America.
L’obiettivo dell’operazione era un pezzo grosso: Ernesto «Che» Guevara de la
Serna, all’epoca il leader rivoluzionario più famoso al mondo, nascosto con i
suoi guerriglieri nella boscaglia boliviana. Vi era arrivato dopo aver lasciato
Cuba e al termine di un lungo viaggio in Africa, deciso a riportare il verbo
della rivoluzione in America Latina. Gli americani avevano bisogno di qualcuno
che aiutasse l’esercito boliviano nella caccia all’uomo.
Al termine di ogni colloquio, ai candidati veniva posta
una domanda chiave: «Se ti scegliessimo subito, quando saresti disposto a
partire?». La maggior parte chiese qualche giorno di tempo. Poi toccò a un
26enne laureato in ingegneria: «Se mi lasciate tornare a casa, prendo le mie
cose, saluto mia moglie, torno qui e andiamo. Se siamo di fretta datemi un
telefono, così la avviso che devo partire. Se non c’è tempo nemmeno per questo,
ecco il suo numero, chiamatela voi e inventatevi che sono dovuto andare via
all’improvviso».
Impressionato dalla risposta, l’agente della Cia
trascrisse il nome del candidato: Felix Ismael Rodriguez. Benché giovane, il
cubano aveva già un curriculum di azioni sotto copertura. Rodriguez aveva
svolto attività di intelligence nell’operazione che doveva anticipare
l’invasione americana della Baia dei Porci.
Quasi settantenne, appesantito dagli
anni e da un lungo esilio lontano da Cuba, questo ex della Cia - o «guerriero
dell’ombra», come l’hanno soprannominato - non lascia trapelare emozioni. La
sua voce, cavernosa e atona, velata ancora da un forte accento ispanico, snocciola
con freddezza gli aneddoti di una vita tra oscure missioni segrete in un mondo
diviso dalla Guerra Fredda. Rodriguez ha aiutato i governi di Venezuela,
Bolivia, Perù ed El Salvador a combattere le guerriglie, volato più volte sopra
la guerra del Vietnam e fatto da tramite per la vendita di armi ai Contras in
Nicaragua. E’ amico personale di George Bush senior e di altri alti quadri di
passati governi Usa. Oggi è presidente della Brigada 2506, che a Miami
raccoglie i veterani della Baia dei Porci e altri esuli anti-Castro. Ma per la
storia, rimarrà sempre «l’uomo che ha catturato Che Guevara».Ma a guidare
Rodriguez alla cattura dei guerriglieri fu anche José Castillo Chavez, detto
Paco.Eppure a dare la staffilata finale alla guerriglia fu un colpo di fortuna.
Uno dei boliviani addestrati dalla Cia ottenne informazioni da un contadino,
che aveva sentito voci non lontano da casa sua. Il 7 ottobre, la compagnia
comandata da Gary Prado circondò l’area. «Era una domenica, mi trovavo nella
zona di Valle Grande», ricorda Rodriguez. «Alle 10 di mattina arrivò il
Maggiore Arnaldo Saucedo. “Mi capitan! - mi disse - abbiamo informazioni dal
campo: papa cansado!” (papà è stanco), un termine in codice per indicare che il
leader della guerriglia era ferito e catturato. La mattina seguente arrivai a
La Higuera a bordo di un elicottero». Nel villaggio, Rodriguez trovò quello che
restava della guerriglia boliviana: un gruppo di uomini feriti e stremati.
Guevara era da solo in una stanza, seduto sotto la finestra, le mani legate
dietro alla schiena, una gamba insanguinata. «Era la peggiore guerriglia che
abbia mai visto», commenta il guerriero dell’ombra. «In un anno non erano
riusciti a reclutare un solo contadino boliviano.Rodriguez ha sempre negato di
aver voluto la morte di Guevara, sostenendo che in realtà gli americani lo
preferissero vivo per interrogarlo. Ma mentre spulcia tra le carte e i diari
del Che, il cubano riceve una chiamata. Una voce dall’altra parte del telefono
ordina: «Capitano: 500-600». «Capii. 500 era il codice che indicava Che
Guevara. 700 significava vivo. 600 morto. Passai l’ordine all’esercito, ma
cercai di prendere tempo. Erano le 11 di mattina. Mi diedero tempo fino alle 2
del pomeriggio. Tornai da lui e scattammo la foto famosa che ci ritrae insieme.
Nell’immagine lui appare imbronciato. Un attimo prima, però, rideva: gli avevo
detto di guardare l’uccellino nell’obiettivo. Alle 12.30 la radio dette la
notizia che Guevara era già morto. Tornai da lui. Gli dissi che avevo fatto del
mio meglio, ma c’era un ordine dall’alto comando boliviano. Il Che diventò
bianco come un pezzo di carta. Poi commentò che forse era meglio così». Guevara
consegna a Rodriguez la sua pipa. L’uomo della Cia riesce anche a entrare in
possesso del suo Rolex. Oggi li conserva in una cassaforte. Si abbracciano in
segno di saluto. «Mi chiese di dire a sua moglie di risposarsi e di cercare di
essere felice. Poi uscii. Ordinai ai soldati di sparare dal petto in giù,
perché sembrasse morto in combattimento. Qualche minuto dopo, all’una e dieci,
sentii il fragore degli spari».
Rodriguez rimane freddo, impassibile. Rimorsi? «No. E
nessuno su Che Guevara. Era un assassino a sangue freddo. Faceva fucilare la
gente per i motivi più futili. Ne ho sentite, di storie su di lui». Perché è diventato
un mito? «È stata la propaganda castrista. Altrimenti Castro avrebbe dovuto
ammettere di aver fallito con Che Guevara.
Ecco il link ad un altro interessante articolo: http://archiviostorico.corriere.it/2005/luglio/15/Cosi_Che_diventato_logo_del_co_9_050715021.shtml
La vera storia di ernesto che guevara di babbo
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La vera storia di ernesto che guevara di babbo
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Commenti
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Carolus
Magari sei pure un cristiano convinto e non ti rendi conto che anche quella è solo una questione geografica.