LO STRANO SILENZIO DELL'UNIVERSO: perchè non abbiamo ancora incontrato E.T.
Dopo cinquant'anni di ricerche, ancora nessun segnale da ipotetiche civiltà extraterrestri. Dal paradosso di Fermi all'equazione di Drake fino alla teoria del multiverso, tutte le possibili spiegazioni della scienza allo "strano silenzio" dell'universo.
Il primo a porre seriamente la questione fu l’italiano
Enrico Fermi: “Se gli extraterrestri esistono, dove sono tutti quanti?”. Una
domanda posta ai colleghi fisici in una pausa pranzo ai laboratori di Los
Alamos, dove si lavorava al programma nucleare americano: era la fine degli
anni ’40 e si cominciava
a parlare di UFO. Gli scienziati atomici
discussero della questione, concludendo che i dischi volanti potevano essere
difficilmente ricondotti all’attività di intelligenze aliene. Ma da buoni
scienziati, Fermi e i suoi colleghi si posero il problema di capire se, almeno
teoricamente, l’universo potesse ospitare civiltà extraterrestri. E qui nacque
il cosiddetto paradosso di Fermi: se l’universo esiste da quasi 15
miliardi di anni, dovrebbe avere avuto tutto il tempo per permettere la nascita
e l’evoluzione di numerosissime civiltà extraterrestri; ma, in tal caso, perché
ancora non ci hanno fatto visita? Il tempo per lanciarsi in lunghissime
crociere spaziali lo avrebbero avuto. Ci si aspetterebbe di affacciarsi su un
universo brulicante di vita intelligente. Invece niente.
Sull’argomento torna ora uno dei più eminenti
astrofisici viventi, Paul Davies, brillante divulgatore i cui libri sono
stati pubblicati con successo anche in Italia. Edito nel 2010, il suo volume The
Eerie Silence (“Un misterioso silenzio”) uscirà il mese prossimo anche da
noi, col titolo Uno strano silenzio (Codice Edizioni). Il titolo,
emblematico, è quasi una parafrasi del paradosso di Fermi. Quando, poco più di
cinquant’anni fa, due astronomi proposero di ascoltare le onde radio
provenienti dallo spazio per verificare se tra esse ci fossero segnali
intelligenti, molti si aspettavano di intercettare subito un vero e proprio
brulicare di comunicazioni tra stelle e pianeti. Invece, dopo decenni di
ascolto, finora non abbiamo trovato nulla. Non solo gli extraterrestri non si
vedono, ma non si sentono neanche.
Un’equazione
per contare le civiltà extraterrestri
Eppure, alcuni importanti scienziati e divulgatori si
sono messi a calcolare le probabilità che la vita intelligente si sia
sviluppata altrove, nella nostra galassia e nel nostro universo; e ne sono
uscite soluzioni interessanti. La più famosa è nota come “equazione di Drake”
ed è stata concepita dall’astronomo americano Frank Drake nel 1961. Invitato a
parlare a una conferenza sulle probabilità di vita nell’universo, Drake decise
di trattare la questione affrontandola per punti: ma poiché, da buon
scienziato, aveva una mente matematica, i punti della discussione vennero
sintetizzati in un’equazione che è la seguente:
N=R*fpneflfifcL
Niente panico! Si tratta infatti di un’equazione nata
“per gioco”: N rappresenta il numero di civiltà extraterrestri nella galassia
che sono in grado di comunicare con noi. Questo valore è dato dai fattori R*,
che rappresenta il tasso di formazione stellare nella nostra galassia; fp ossia
la percentuale di stelle che possiedono pianeti; ne, cioè il numero
di pianeti orbitanti intorno a una stella capaci di ospitare la vita; fl che
indica la percentuale dei pianeti di ne dove la vita si è evoluta; fi
che sta a indicare la percentuale di fl dove si è evoluta la vita
intelligente; fc ,vale a dire la percentuale di fi dove
si è sviluppata una tecnologia che permetta le comunicazioni radio; e infine L,
la durata media di una civiltà che sia in grado di comunicare con altre sparse
nella galassia.
Il
numero di pianeti
della nostra
galassia
in cui è in
essere una
civiltà
tecnologica è
di circa
530.000
Isaac
Asimov, 1979
Se ora pensate di avere tutti i dati per calcolare il
numero di civiltà extraterrestri con cui entrare in comunicazione, vi sbagliate
di grosso. Di fatto, conosciamo con esattezza un solo termine, il primo. Per
gli altri, tiriamo a indovinare (o quasi). Fino alla metà degli anni ’90, per
esempio, non avevamo alcuna certezza che le altre stelle possedessero intorno a
sé dei pianeti, come nel nostro sistema solare. Lo ipotizzavamo, sia per modestia
– perché il nostro sistema solare dovrebbe essere unico? – sia perché le teorie
sulla formazione del nostro sistema planetario sembravano adattarsi bene anche
alle altre stelle. Ma “vedere” pianeti extrasolari non è semplice:
nemmeno oggi li vediamo direttamente, ma strumenti di rilevamento più potenti e
importanti programmi d’osservazione dallo spazio ci hanno permesso di
individuare centinaia di pianeti extrasolari, alcuni più grandi di Giove, ma
altri simili alla Terra. Insomma, fp è un numero molto grande:
sembra che la stragrande maggioranza delle stelle, tutto sommato, abbia il suo
contorno di pianeti.
Il problema successivo, però, è molto più complesso: è
possibile che su quei pianeti si sviluppi la vita? Teoricamente, la vita come
la conosciamo ha bisogno solo di due cose: ossigeno e acqua allo stato liquido.
Probabilmente, possono esistere
forme di vita
che sguazzano in ambienti per noi invivibili; ma non prendiamoli in considerazione. Pianeti con queste caratteristiche
sembrano esistore a bizzeffe. Questo vuol dire che su di essi si sviluppi
inevitabilmente la vita? No. In realtà, molti scienziati ritengono che la
nascita della vita complessa – e poi intelligente – sulla Terra sia un evento
quasi fortuito. La possibilità che quest’eventualità si ripeta altrove è molto
scarsa; ma poiché stiamo parlando di grandi numeri, non è una probabilità
nulla. Qui però entriamo nel campo delle mere ipotesi.
Qualcuno molto qualificato ha tuttavia provato a
riempire la formula di Drake con numeri reali. L’astronomo americano Carl
Sagan, nella famosa trasmissione televisiva da lui condotta, Cosmos
(una sorta di “Quark” made in Usa), propendeva per il pessimismo, giungendo a
calcolare non più di 10 civiltà aliene con le quali potremmo in questo momento
entrare in contatto, se ne avessimo i mezzi. Un calcolo più ottimistico è stato
compiuto dal famoso scrittore di fantascienza e grande divulgatore Isaac
Asimov: nel suo saggio Civiltà extraterrestri (1979), un classico
sull’argomento, ancora attualissimo nonostante la ricerca abbia fatto enormi passi
avanti, Asimov stimava per il termine “N” di Drake un numero enorme: 530.000
civiltà intelligenti sarebbero presenti nella galassia in questo stesso
momento. Ma resta allora la domanda: dove sono tutte quante?
Ascoltare l’universo
in cerca di un segnale
Ipotizziamo che il limite della velocità luce (o di quella
dei neutrini…) non sia valicabile in nessun modo. È stato calcolato
che una civiltà intelligente, anche viaggiando molto al di sotto della velocità
della luce, impiegherebbe meno di dieci milioni di anni per visitare l’intera
galassia: una frazione trascurabile rispetto ai miliardi di anni di vita della
Via Lattea. Eppure, non abbiamo ancora tracce di visite extraterrestri, volendo
escludere gli UFO. Non ci resta che provare ad ascoltare il cielo per
intercettare eventuali segnali intelligenti. Non è necessario produrli con
consapevolezza: le onde elettromagnetiche viaggiano nel vuoto cosmico alla
velocità della luce a bassissima energia e le normali trasmissioni televisive
possono arrivare ad anni-luce di distanza. Così come gi abitanti di Epsilon
Eridani dovrebbero poter intercettare in questo momento le immagini dell’11
settembre 2001 (la stella in questione è a circa 10 anni-luce dalla Terra),
così noi dovremmo riuscire a captare le loro canzoni trasmesse in modulazione
di frequenza o le immagini di un quiz televisivo alieno.
L’universo delle radiofrequenze, tuttavia, è immenso. Dove cercare con esattezza? Non basta infatti puntare i radiotelescopi verso stelle specifiche, ma cercare questi segnali intelligenti all’interno di frequenze ben precise. Alla fine degli anni ’50 sulla rivista Nature gli astronomi Giuseppe Conconi e Philips Morrison proposero di cercare sulla frequenza 1420 MHz, che corrisponde a una lunghezza d’onda di21 centimetri. È la frequenza d’emissione dell’idrogeno, l’elemento più comune dell’universo. Un’altra possibilità è la frequenza di 1665 MHz, a una lunghezza d’onda di 18 centimetri: la frequenza d’emissione dell’ossidrile. Perché? Perché unendo idrogeno e ossidrile viene fuori l’acqua, che riteniamo essere la base della vita nell’universo. Se una civiltà extraterrestre volesse farsi riconoscere, riteniamo che dovrebbe farlo in questa “finestra” d’emissione nota come “water hole”. Un termine che rimanda all’immagine di una pozza d’acqua nel deserto sterile del nostro cosmo, ma che vuol dire anche “buco nell’acqua”.
Alcune soluzioni al paradosso di Fermi
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Il fisico e cosmologo inglese Paul Davies |
In effetti, molti temono che il progetto SETI (Search for Extraterrestrial Intelligence), che si barcamena tra croniche
mancanze di fondi e inevitabile scetticismo, si concluda con un buco
nell’acqua. Dopo cinquant’anni d’ascolto, da quel “water hole” non è uscito
fuori nessun segnale intelligente. È per questo che il fisico Paul Davies ha
parlato di uno “strano silenzio”. Nel suo libro, avanza alcune ipotesi in
proposito. Per esempio, la maggior parte delle civiltà intelligenti
nell’universo potrebbero essere così diverse da noi da non essere interessate
alla comunicazione interstellare. Fondamentalmente, il cosmo brulicherebbe di
alieni con i quali non varrebbe la pena scambiare quattro chiacchiere. Ma
un’altra spiegazione è ancora più inquietante e riporta all’ultimo fattore
dell’equazione di Drake, “L”: la durata media di vita di una civiltà
intelligente. Chi dice che siamo destinati a vivere in eterno, o comunque a
perdurare per un bel pezzo? Forse, stiamo procedendo speditamente verso
l’autodistruzione. Una tesi condivisa da Drake e da Asimov, e in parte anche da
Davies: forse le civiltà intelligenti sono votate all’autodistruzione entro
poche centinaia d’anni. Per questo, non c’è abbastanza tempo per stabilire una
comunicazione. E allora, il silenzio dell’universo diventa davvero inquietante,
come suggerisce il titolo inglese del libro.
C’è anche una soluzione ottimistica all’onnipresente
paradosso di Fermi, che lascia un po’ spazio alla fantascienza: forse, come in Star
Trek, le civiltà davvero intelligenti (a differenza nostra) della galassia
sono confederate in una grande ONU spaziale e vigilano sulle specie che si
stanno gradualmente affacciando all’universo, come la razza umana. Appena
saremo degni, usciranno allo scoperto proponendoci di aderire al loro ristretto
club interstellare. È una tesi che affascina anche Davies. Ma il più grande
fisico teorico oggi vivente, l’inglese Stephen Hawking, non la pensa
allo stesso modo. Hawking ha a più riprese messo in guardia da potenziali
civiltà extraterrestri che potremo scoprire: “Il contatto con la vita aliena
potrebbe essere disastroso per la razza umana”. Dopo tutto, potrebbero comportarsi
come gli europei quando giunsero per la prima volta in America: come le civiltà
precolombiane di allora, anche la nostra razza potrebbe estinguersi sotto il
peso schiacciante della superiorità tecnologica dell’invasore. Secondo Hawking,
quindi, anche se gli alieni quasi certamente ci sono, è meglio non incontrarli.
Una teoria ancora più avanzata prende spunto da quella
che è oggi una delle più affascinanti tesi cosmologiche: quella del multiverso.
Il nostro universo non sarebbe che uno degli infiniti universi esistenti.
Questa bizzarra ipotesi è in realtà oggi accettata da un numero crescente di scienziati
perché spiegherebbe alcune curiose coincidenze del nostro universo. Le costanti
fondamentali che regolano il cosmo sono infatti assai particolari: se
differissero di meno dell’1% dal valore che possiedono, la vita come la
conosciamo non si sarebbe potuta evolvere. Questa strana coincidenza è stata
spiegata con diverse teorie, tra cui il controverso “principio antropico”
di John Barrow e Frank Tipler che, nella sua forma estrema, sostiene che
l’universo è così perché fin dalla sua nascita era previsto che desse vita alla
razza umana. Egoismo antropocentrico? Forse, ma la teoria regge. In questo
caso, non potrebbero esistere nel nostro universo altre civiltà. Ma se il
nostro fosse solo uno dei tanti universi, non solo verrebbe a cadere
l’antropocentrismo implicito nel ragionamento di Barrow e Tipler, ma si
spiegherebbero meglio queste coincidenze e sarebbe possibile immaginare
infinite civiltà extraterrestri, ciascuna dominante nel suo universo
confezionato “su misura”. Peccato che non potremo mai entrare in contatto con
loro.
Certo, esiste anche un’ultima soluzione. È quella di
Fermi o di Stephen Webb, che all’argomento ha dedicato un libro
definitivo: Se l’universo brulica di alieni… dove sono tutti quanti?
Webb propone 49 soluzioni al quesito, riservandosi una cinquantesima per sé: la
peggiore. Siamo davvero soli e l’universo, per citare Carl Sagan, non è che un
enorme spreco di spazio.
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